Nettare per gli dei: Il vino degli antichi

 

INDICE  RIFERIMENTO   ENIO HOME PAGE   IMMAGINI

 

Il vino degli antichi

 

 

Il vino, oggi complesso fenomeno sociale e culturale, ha origini lontanissime; potremmo davvero dire che è vecchio come l’uomo. Le prime tracce di questo inebriante liquido, frutto del rapporto tra uomo e vite, si trovano in Medio Oriente. Ma furono gli Italici, i Greci e soprattutto poi i Romani a farne una bevanda diffusa in tutti gli strati della popolazione, essenza inebriante per feste e riti, prodotto commerciale di largo uso e di buon profitto. E l’Abruzzo, che fu terra italica prima e provincia romana poi, da sempre accolse con benevolenza e gusto questo nettare degli dei. Del vino degli antichi abruzzesi, del suo uso, dei suoi effetti, dei suoi culti e delle leggende ad esso collegate sono giunte a noi ampie tracce negli affreschi, nei bassorilievi, nelle terrecotte e nei reperti archeologici. Certo l’Abruzzo non conserva pitture murali splendide come quella di questa doppia pagina, che raffigura amorini intenti a mescere vino dalle anfore e si trova nella casa dei Vettii di Pompei, ma nei nostri musei ci sono importanti reperti attraverso i quali, nelle prossime pagine, l’archeologa Maria Ruggeri ci racconterà il vino dei nostri antenati in un affascinante percorso enoculturale.

 

 

 

Il vino degli antichi

 

Nella nostra regione sono numerosi i musei che ospitano reperti archeologici legati al vino e al suo consumo nel mondo antico. In queste pagine vogliamo suggerirvi un itinerario alla loro scoperta. Esso vi permetterà di visitare il territorio, abbinando magari ad ogni museo la visita ad una cantina locale. Ancora i nostri nonni dividevano semplicemente i vini in fermo e frizzante, e poi rosso bianco e rosatello, ma soprattutto buono e cattivo. Oggi siamo invece abituati ad una maggiore diversificazione, inebriati sì dai vini ma per lo più dalla terminologia in voga che parla di vitigni, marchi DOC, essenze, retrogusti, abbinamenti, assaggi, sommelier e via dicendo.

 

Il vino degli antichi

 

 

All’epoca dei romani e degli italici era tutto diverso. Nell’antichità il vino veniva infatti abitualmente miscelato con ingredienti vari, come timo, menta, cannella, miele, petali di rosa, pere, mele, bacche o radici. Difficilmente esso veniva bevuto puro, anche perchè era caratterizzato da altissima gradazione e doveva necessariamente essere miscelato con acqua, spesso addirittura salata. Omero racconta che la fermentazione avveniva in grandi vasi di terracotta cosparsi all’esterno di resina e pece e profondamente interrati, per limitare i danni provocati dalla traspirazione. La filtrazione ed il travaso seguivano dopo sei mesi ed il vino era versato in anfore di terracotta o in otri. I primi vini romani erano comunque piuttosto grossolani: quelli più nobili venivano ancora importati dalla Grecia. I romani preferivano il vino lungamente invecchiato, come in genere in tutta l’antichità. Il Falerno non si poteva bere prima dei 10 anni e rimaneva ottimo fino a 30; i vini di Sorrento erano buoni soltanto dopo 25 anni. Per farli invecchiare si usavano anfore, aiutandosi con fumo, calore e rudimentali sistemi di pastorizzazione. I vini che i romani amavano bere dovevano quindi essere densi, amari, eccessivamente alcolici e quasi sempre stravecchi. L’annacquamento, fatto con acqua calda o fredda, ma anche con la neve, era quindi operazione essenziale per renderli bevibili. Il vino puro, il merum, era riservato agli dei. In epoca romana nella nostra regione erano diffuse le varietà di vitigni note con i curiosi nomi di bananica, hirtiola, pumula, vinaciola..

 

 

 

Il vino degli antichi

 

 

La tradizione ricorda che Annibale, di passaggio in Abruzzo, abbia guarito i suoi cavalli affetti da una malattia alle zampe proprio con il vino dell’area teramana, che è spesso citato dagli scrittori classici e viene paragonato al mulsum. Allora, come ancora oggi, il vino rappresentava una bevanda dall’uso simbolico e sociale: nel mondo greco, Omero stesso ci racconta di banchetti regali accompagnati da fiumi di vino. Dalla Grecia l’ideologia che ha fatto dell’uso del vino uno status symbol, passa in Etruria e quindi nel resto della penisola. Gli scavi condotti negli ultimi anni hanno fornito dati importanti per ricostruire la diffusione della vite e la storia di questa bevanda sul territorio abruzzese. La fortellezza di Tortoreto (Te), l’area di Campo di Fiera a Teramo e il sito delle Paludi di Celano (Aq) hanno restituito testimonianze di vitis vinifera coltivata in villaggi dell’età del bronzo e della prima età del ferro, lungo un arco di tempo che va dal XIII al IX secolo prima di Cristo, dimostrando come nella nostra regione si coltivasse la vite e si producesse vino in un periodo antecedente la colonizzazione greca dell’Italia meridionale.

 

 

 

Il vino degli antichi

 

 

L’insieme degli elementi rituali connessi al vino sono importati in Abruzzo dall’area Etrusca grazie alle strette relazioni che questa popolazione intrattiene con le comunità locali dell’Italia meridionale, a loro volta influenzate dai contatti con la Grecia. In Abruzzo si verifica una situazione particolare: l’ideologia del vino legata al simposio e tipica delle ricche aristocrazie, subisce delle modifiche e diventa elemento caratterizzante del banchetto funerario. Infatti nei corredi funerari, importante fonte di informazione su usi e costumi delle popolazioni antiche, si trovano veri e propri servizi di vasi per bere, associati a calderoni, alari e spiedi per arrostire le carni durante il banchetto in onore del defunto, nel quale il vino ha un uso rituale. I servizi in bronzo sanciscono il prestigio sociale del defunto che li ostenta. E non ci sono distinzioni tra le tombe maschili e quelle femminili: la donna partecipa quindi ideologicamente, al pari dell’uomo, al banchetto funerario. A differenza di quanto accade in Grecia, in Abruzzo la donna ha un ruolo chiave nella gestione familiare del suo gruppo di appartenenza e quindi partecipa anche al banchetto. Nessun’altra coltura come quella della vite evidenzia la natura di confine dell’Abruzzo tra la regione mediterranea quella euro siberiana e, in ambito storico e sociale, tra il sud e il nord del paese. Proprio nella nostra regione si incontrano infatti due modi opposti di coltivare la vite: nel settore meridionale si diffonde quello italico e greco, che vede la vite coltivata ad alberello e sorretta da canne, nel nord prevale quello in uso tra Etruschi e Celti, detto dell’alberata, in cui le viti sono maritate e sostenute da alberi. In oltre 3000 anni produzione, si è evoluta in Abruzzo una coltura originale che affonda le sue radici nella storia e trova i suoi aspetti più singolari nei vigneti rupestri di Fano Adriano (Te), negli antichi impianti di lavorazione del mosto nella villa romana di Tortoreto (Te), nelle enormi caldaie usate per ottenere il vino cotto. Nel 2004/2005 la Soprintendenza Archeologica dell’Abruzzo ha varato un interessante progetto divulgativo sul vino degli antichi, culminato in una mostra, un calendario e un volumetto informativo.

 

 

@nonnoenio


 

 

 

INDICE  RIFERIMENTO   ENIO HOME PAGE   IMMAGINI