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Trentino - Ultime Cene Dipinteright

a Trentino

 

Ultime Cene - Itinerari nelle chiese del Trentino

 

Oltre ad avere finalità nutrizionali, il cibo racchiude significati culturali, simbolici e rituali; entra con forza nel vissuto di ciascuno di noi in quanto strettamente connesso ad affetti ed emozioni; in un contesto multietnico diventa efficace strumento per iniziare un dialogo mirato alla rottura dei pregiudizi. In ogni cultura, il momento del pasto costituisce un'occasione di incontro, di relazione. Basterebbero queste poche indicazioni per farci capire come il tema "Nutrire il pianeta, Energia per la vita", lanciato da EXPO MILANO 2015, sia centrale e generativo. Nella consapevolezza che "il cibo e l'azione del nutrire sono per l'uomo uno spazio di educazione", anche la Santa Sede ha deciso di partecipare all'iniziativa con un proprio padiglione che intende con centrare l'attenzione dei visitatori "proprio sulla rilevanza simbolica dell'operazione del nutrire, e sulle potenzialità di sviluppo antropologico che questa dinamica racchiude".Il Museo Diocesano Tridentino ha inteso offrire il proprio contributo alla riflessione su tali tematiche con la mostra Alla stessa mensa, tra rito e quotidianità (6 febbraio-6 aprile 2015) e con una sezione 

 

 

 

Giuseppe Alberti - Comunione degli apostoli 1974 Olio su tela - Cavalese - Chiesa di Santa Maria Assunta

 

Antonio Lungo - (attribuito) - Comunione degli Apostoli 1908 olio su tela - Varena - Museo casa natale Antonio Longo


 

dell'esposizione permanente appositamente predisposta. L'iniziativa Ultime Cene dipinte, Itinerari nelle chiese del Trentino, organizzata in collaborazione con l'associazione Anastasia ( Amici nell'arte sacra tra architettura, simbologia, iconografia e agiografia ), rappresenta l'ideale prosecuzione sul territorio di questo progetto espositivo. L'Ultima Cena è uno dei soggetti iconografici più diffusi dell'arte sacra e si distingue da altri episodi evangelici per il suo alto significato mistico e simbolico. Negli edifici di culto trentini si conserva un cospicuo patrimonio di dipinti a tema realizzati dal XV al XX secolo - all'incirca 180 -, spesso poco conosciuti, ma assai interessanti per varianti iconografiche ed eterogeneità di ambiti culturali. L'itinerario propone al visitatore una selezione dei più significativi esempi di queste iconografie suddivisi per aree geografiche. L'iconografia della Cena, che acquista progressivamente una propria autonoma rispetto al contesto 

narrativo legato alla Passione di Cristo, presenta due aspetti differenti: è allo stesso tempo un evento e un simbolo, un episodio drammatico della vita di Cristo che, riunito per l'ultima volta assieme ai suoi discepoli, annuncia il tradimento di uno di loro, e l'istituzione di un sacramento, l'Eucaristia. A seconda dei casi e delle epoche, gli artisti hanno posto l'accento sull'annuncio del tradimento ("Uno di voi mi tradirà"), o sulla Comunione degli apostoli ("Questo è il mio corpo"), dando luogo a due temi iconografici che è necessari o studiare separatamente la Cena storica o narrativa e la Cena simbolica o sacramentale  

 

L'annuncio del tradimento di Giuda
 

La cena a Gerusalemme, l'ultimo pasto consumato da Cristo con i dodici apostoli prima del tradimento di Giuda, si distingue da tutte le altre cene raccontate nei Vangeli: non è soltanto un pasto d'addio, ma la commemorazione della Pasqua ebraica e l'istituzione di uno dei principali sacramenti cristiani, la comunione eucaristica. Prima del concilio di Trento, nelle raffigurazioni di questo tema, l'arte dell'Occidente sviluppò soprattutto l'aspetto storico- narrativo, legato al potenziale emotivo e tragico contenuto nell'annuncio del tradimento. Alla fine della cena infatti Gesù pronunciò le seguenti parole: "in verità io vi dico: uno di voi mi tradirà". L'apostolo Giovanni, appoggiato sul petto del maestro, interpretando la sorpresa dei suoi confratelli, chiese: "Signore, chi è?" E Gesù rispose: "È colui per il quale intingerò il boccone e glielo darò". L'espressione più nota di questa iconografia è ravvisabile nel Cenacolo di Leonardo da Vinci nel refettorio di Santa Maria delle Grazie a Milano. Un interessante esempio locale è invece offerto dall' Ultima cena attribuita ad Antonio Baschenis in Santo Stefano a Carisolo.

Carlo Gaudenzio Mignocchi - (attibuito) - Ultima Cena 1701 Tione di Trento - Chiesa di Santa Maria Assunta e San Giovanni Battista

 

Ambientazione e forma del tavolo
 

Generalmente la scena è ambientata in una sola stanza, benché non manchino esempi in cui sia possibile osservare la cucina dove si preparano le vivande in un ambiente collegato a quello del cenacolo. Inoltre, trattandosi di un pasto serale, la cena è a volte rischiarata da lumi artificiali quali candele e torce (si vedano ad esempio le Ultime cene di Carlo Gaudenzio Mignocchi e Gasparantonio Baroni rispettivamente a Tione e Pavillo). Per quanto riguarda il tavolo, a partire dal Medioevo gli artisti hanno sperimentato diverse soluzioni: la tavola in forma di sigma, o mezzaluna, la tavola rotonda e infine la tavola rettangolare, disposta frontalmente o obliquamente. La tavola a forma di sigma, che non si riscontra nelle opere del territorio trentino, è l'antico triclinium romano con i convitati sdraiati a semicerchio; in questi casi Gesù ne occupa il posto d'onore, ovvero l'estremità sinistra. Quando la tavola è circolare - come nell'affresco di Cristoforo Baschenis a Pergnano. Gesù siede al centro e Giuda è isolato in primo piano; se invece la tavola è rettangolare, sono i casi più numerosi, i convitati si collocano generalmente in fila, con Cristo al centro. Soltanto Giuda siede isolato, al di qua del tavolo. Verso il 1544, Tiziano introdusse una soluzione ingegnosa nella Cena del Palazzo Ducale di Urbino, ovvero dispose il tavolo in diagonale, conferendo così grande profondità alla composizione. Tale tipologia fu spesso imitata in seguito da Tintoretto. Ne! XVII secolo, sotto l'influenza dei pionieri dell'archeologia, i pittori tornarono talvolta a rappresentare la tavola da triclinium, a forma di sigma, sia per l'Ultima Cena che per la Cena in casa di Simone.
 

Ferdinando Valdambrini - Ultima Cena con committente - 1666 - olio su tela - Tione di Sotto - Ledro - Chiesa di San Bartolomeo 

 

Il cibo e la sua simbologia

Assumono spesso connotazioni simboliche anche le vivande rappresentate sul tavolo: oltre al pane e al vino, sovente compare un agnello, simbolo del sacrificio di Cristo. Tra la fine del XIV e gli ultimi decenni del XVI secolo, inoltre, si diffonde in area alpina una particolare iconografia dell'Ultima Cena, la cui peculiarità è data dalla presenza sulla tavola, accanto ai tradizionali simboli eucaristici, dei gamberi di fiume. I gamberi d'acqua dolce erano noti all'uomo fin dall'epoca preistorica, quando venivano utilizzati come fonte primaria di proteine animali. Erano un alimento piuttosto comune, consumato soprattutto nel periodo quaresimale. La loro presenza sulla mensa del Signore, in un contesto altamente allegorico quale è la raffigurazione dell'istituzione dell'Eucarestia, ha tuttavia anche una valenza simbolica. Molte sono le ipotesi in merito ai possibili significati adombrati dalla presenza di questi crostacei e le ipotesi oscillano tra due principali poli interpretativi, come speso so accade agli animali simbolici, nei quali convive una doppia natura. La prima accezione del gambero potrebbe essere legata alla Passione e alla Resurrezione di Cristo: il crostaceo infatti, dopo la cottura, muta in rosso acceso la coriacea livrea, richiamando in questo modo il rosso del sangue versato sulla croce e la Resurrezione di Gesù dopo la morte. Il gambero, tuttavia, potrebbe anche nascondere una seconda natura, di significato opposto. Secondo alcuni studiosi l'animale sarebbe un riferimento simbolico all'eresia: il suo muoversi a ritroso infatti è lo stesso degli  

Pittore di ambito veneto - Ultima Cena e dintorni 1436 - 1438 - affresco - Castello Tesino - chiesa di Sant'Ippolito

eretici, che deviano dal retto cammino e prendono strade opposte rispetto alla Verità. Secondo quest'interpretazione la presenza del gambero sulle tavole dell'Ultima cena potrebbe riferirsi alle dispute concernenti l'Eucaristia, ovvero al dissenso teologico circa la reale presenza del corpo e del sangue di Cristo nel pane e nel vino consacrati. Un'ultima lettura vede nel gambero il simbolo di Giuda e degli ebrei, essendo il crostaceo molto simile nella morfologia allo scorpione, che nell'iconografia cristiana ricorre quale simbolo negativo del male, della morte e del popolo ebraico.

 

La caratterizzazione dei personaggi: Giovanni e Giuda

Nell'iconografia dell'Ultima cena, soprattutto quelle di età moderna, databili dal XVI secolo in avanti, le espressioni dei visi e la mimica dei gesti degli apostoli esplicitano le reazioni psicologiche e i turbamenti di ciascuno all'annuncio del tradimento: gli uni si indignano, gli altri protestano la loro innocenza o cercano di smascherare il traditore che è nascosto tra loro. Due di essi, in particolare, si distinguono dal gruppo e sono nettamente caratterizzati: si tratta di Giovanni e Giuda. Il primo, 'l'apostolo prediletto', appoggia la sua testa sul petto di Gesù: i mistici hanno interpretato questo atteggiamento narrato nel Vangelo come gesto di tenerezza fraterna e fiduciosa, una rappresentazione dell'anima umana che si rifugia in Dio. Talvolta, Giovanni sembra dormire, ma non è che un'apparenza. Alla tenera devozione di Giovanni si contrappone l'odio sornione di Giuda: i suoi tratti di traditore si distinguono da quelli degli altri convitati, sia per quanto riguarda il posto che occupa, generalmente isolato al di qua del tavolo, sia per alcuni attributi significativi, sia per alcuni gesti che lo identificano. Nell'ottica cristiana Giuda era l'ebreo traditore per eccellenza, che condivideva con i moderni ebrei l'a- more per il denaro, simboleggiato dalla borsa. Nella figura di Giuda, inoltre, sono sintetizzati molti degli stereotipi visivi abitualmente applicati alla rappresentazione degli ebrei: l'apostolo traditore è spesso raffigurato di profilo, con carnagione scura, capelli rossi o ricci, naso aquilino, sopracciglia folte, viso allungato. Di solito il personaggio è privo di nimbo, o presenta un nimbo nero; non di rado inoltre la sua figura è ammantata in una veste di colore giallo. Nella simbologia cromatica del Medioevo, il giallo era il colore della marginalità: gialli erano i contrassegni di riconoscimento imposti agli ebrei, i marchi per le prostitute, le croci che identificavano gli ex-eretici. Nel linguaggio artistico il giallo sporco, tendente al verde, caratterizza lo sfondo dei vessilli, degli scudi e delle insegne che recano lo scorpione e spesso di colore giallo sono gli abiti della personificazione della Sinagoga. Il giallo-oro è invece riservato alla divinità e ai nimbi dei santi. Condensa tutti gli stereotipi finora indicati l'affresco dell'Ultima cena realizzato da anonimi pittori veneti nella chiesa dei Santi Ippolito

 

Pittore di ambito veronese - Ultima Cena - fine del XIV secolo - affresco Prabi (Arco) - Chiesa di san Apollinare

e Cassiano a Castello Tesino risalente al 1437-1438. Giuda, vestito di giallo e dipinto di profilo, è colto nel momento in cui Satana, sotto forma di piccolo diavolo, gli entra nella bocca, efficace traduzione visiva delle parole dell'evangelista Giovanni: "E intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda Iscariota, figlio di Simone. E allora, dopo quel boccone, satana entrò in lui" (Giovanni 13, 27). Agli attributi già analizzati, si aggiunge in questo caso un pesce che Giuda stringe nella mano destra: il simbolo dovrebbe riferirsi a Cristo, data l'antica corrispondenza tra il noto acronimo della parola greca 'IX8uç (pesce) e il figlio di Dio: Giuda, infatti, è colui che 'cattura' il pesce-Cristo per poi venderlo per trenta monete. Sovente, Giuda è accompagnato da un cane (si vedano ad esempio le realizzazioni di Marieschi a Storo e di Valdambrini a Tiarno di Sotto), animale generalmente associato ad un'immagine positiva, perlopiù legata al concetto di fedeltà. In questo caso, tuttavia, il cane diviene simbolo di ferocia e pericolosità giacché accompagna un personaggio dalle connotazioni apertamente negative. Peraltro, le valenze negative del cane sono già presenti nella Bibbia, dove l'animale è associato a meretrici, maghi, idolatri e disonesti.

Pittore di ambito tirolese - Ultima Cena - terzo quarto del XV secolo - affresco Doss di San Leonardo - (Lisignago) - Chiesa di San Leonardo

 

Dall'Ultima cena alla Comunione degli apostoli

Come già accennato, l'iconografia della Cena presenta due aspetti differenti: è allo stesso tempo un evento e un simbolo, un episodio drammatico della vita di Cristo che, riunito per l'ultima volta assieme ai suoi discepoli, annuncia il tradimento di uno di loro, e l'istituzione di un sacramento, l'Eucaristia. La parola Eucaristia è di origine greca e significa propriamente 'azione di grazia'. Per metonimia, il termine designa gli alimenti della comunione per i quali i fedeli rendo- no grazie al Redentore: il pane o l'ostia che è il corpo di Gesù Cristo, il vino che è il suo sangue. A seconda dei casi e delle epoche, gli artisti hanno posto l'accento sull'annuncio del tradimento ("Uno di voi mi tradirà"), o sulla Comunione degli apostoli ("Questo è il mio corpo"). In questa seconda iconografia, Gesù compare in veste di sacerdote, di solito in posizione stante, con la patena e l'ostia, talvolta con il calice: è evidente, in questi casi che l'iconografia si modella sulla liturgia della messa. Nel XV e XVI secolo, sono rare le raffigurazioni della Comunione degli apostoli, nonostante l'azione propagandistica svolta dalle confraternite del Corpus Domini. Si possono ricordare le famose tavole di Giusto di Gand a Urbino e di Luca Signorelli nella cattedrale di Cortona. È dopo il concilio di Trento che il tema riprende nuova vita, poiché i protestanti avevano confutato il dogma della transustanziazione, cardine della liturgia cattolica. Ciò portò al fiorire di iconografie connesse al tema dell'Eucaristia, allo scopo di rivendicare la corretta interpretazione del mistero evangelico dell'Ultima cena del Signore da parte della Chiesa. Le raffigurazioni della Cena sacramentale diventano quindi un mezzo per difendere l'Eucaristia: a partire da questo momento, la formula della cena leonardiana è abbandonata e all'annuncio del tradimento si sostituisce la consacrazione del pane e del vino da parte di Cristo sacerdote o la comunione degli apostoli con Gesù che pone l'ostia ai discepoli.

 a) Pittore di ambito locale - Ultima Cena - ultimo quarto del XIV secolo - affresco -Molveno - Chiesa di San Vigilio

b) Gaspare Rotaldo e bottega - Ultima Cena - 1526 - affresco - Volano - Chiesa di san Rocco

 

 Gli artisti

Le Ultime Cene presentate nell'itinerario datano a partire dalla seconda metà del XIV secolo fino agli albori del XIX. Esse furono realizzate da artisti di diversa formazione e provenienza: la geografia artistica della regione trentina, un territorio di frontiera e collegamento tra l'area padana - in particolare veneta e lombarda - e l'Europa centrale, si caratterizza per l'assenza di una scuola pittorica dai caratteri unitari e per la presenza, continuativa o episodica, di artisti forestieri che lasciarono le loro opere in molte chiese del territorio. Gli incessanti movimenti di uomini, di merci, di artisti e dei loro manufatti da un versante all'altro delle Alpi, non meno degli scambi costanti con la confinante Repubblica di Venezia e con gli stati italiani, contribuirono a rendere assai variegata la produzione artistica delle vallate trentine. Già nel XIV secolo si registra in regione l'attività di anonime botteghe di frescanti di formazione veronese (Prabi), veneta (Lisignago, Castello Tesino) e lombarda. Tra essi spicca la singolare personalità dell'anonimo Maestro di Sommacampagna, così battezzato in omaggio alla sua attività nel Veronese, un pittore dallo stile semplice, a tratti naive, immediatamente riconoscibile, che riscosse un notevole successo in una vasta area geografica che spazia dal lago d'lseo alla Val Camonica, dalle valli trentine e venete alla pianura veronese e bresciana. Poco dopo la metà del XV secolo, nelle vallate occidentali del Trentino, è attestata la presenza assidua dei Baschenis, una dinastia di pittori itineranti che

 

Cristoforo Baschenis - Ultima Cena - fine del XV secolo inizio del XVI - affresco - Pergnano (San Lorenzo in Banale) Chiesa dei Santi Rocco e Sebastiano

provenivano dalla valle di Averara, nel territorio montano a nord di Bergamo. Specializzati nella pittura religiosa di destinazione prevalentemente popolare, questi artisti decorarono, in un ampio arco cronologico che si estende dal 1460 circa fino alla metà del Cinquecento, un gran numero di chiese, con le loro immagini didascaliche e devozionali, prudente mente aggiornate sulle novità rinascimentali padane, comunque dotate di un vivace piglio narrativo. La famiglia dei Baschenis era divisa in due rami - la dinastia di Lanfranco e quella di Cristoforo - e rappresenta uno dei casi più significativi di quel fenomeno di trasmissione familiare del mestiere, non raro nella storia delle arti figurative, riscontrabile soprattutto nelle valli dell'arco alpino. Tra la fine del XV e l'inizio del XVI secolo, alla diffusione del linguaggio rinascimentale, in una declinazione squisitamente popolare, contribuirono anche alcuni pittori di cultura veronese, quali Gaspare Rotaldo, frescante scaligero residente a Riva, al cui pennello si devono i dipinti più antichi della chiesa di San Rocco a Volano, nei quali si possono leggere lontane suggestioni mantegnesche e di artisti veronesi quali Francesco Benaglio, Francesco Morone e Antonio Badile. Nel corso del Cinquecento è da ricordare la personalità di Dionisio Bonmartini, autore del ciclo pittorico della chiesa di Caneve d'Arco. Originario di Agrone nella Valle del Chiese, egli si formò sui testi figurativi del manierismo padano (Giulio Romano) che ebbe modo di studiare durante i suoi spostamenti tra Mantova e Verona al seguito

 

Cristoforo Baschenis - (attribuito) - Ultima Cena - 14890-01498 - affresco - Borzago (Spiazzo) - Chiesa di Sant'Antonio Abate

 

del suo dotto protettore, il conte umanista Nicolò d'Arco. Datano al XVII secolo invece le Ultime Cene di Giovanni Angelo Valorsa a Cogolo di Peio e di Ferdinando Valdambrini a Tiarno di Sotto, due artisti al cui attività è conosciuta solo grazie a queste due opere. Scarse sono le notizie sulla vita e sull'opera del Valorsa; il cognome e la provenienza del pittore da Grosio, in Valtellina, collocano tuttavia la sua nascita e la sua formazione nell'ambito di una stirpe di artisti valtellinesi di cui Cipriano (1517-1604) fu l'esponente più noto e importante. Anche Ferdinando Valdambrini era nativo della Valtellina, benché fosse solito definirsi 'romano' in ragione degli studi compiuti a Roma. La carriera dell'artista si svolse tra Milano, Pavia e Venezia, città dove risiedette, a quanto pare, per oltre duedecenni, giusta l'identificazione con il "Ferdinando Romano" registrato fra i componenti del Collegio e della Fraglia dei pittori d i Venezia. L'Ultima cena di Tiarno di Sotto - qualitativamente una delle più rilevanti della selezione qui proposta - fu probabilmente commissionata da un esponente di una famiglia ledrese residente o attivo stagionalmente a Venezia nell'ambito delle attività portuali, il cui ritratto compare nella tela, in basso a sinistra. La presenza di opere di artisti veneziani in Vai di Ledro e nella Valle del Chiese rivela specifiche preferenze di gusto di donatori laici originari di queste zone, ma dimoranti in laguna: questo fenomeno perdurò anche nel Set. tecento, allorché iniziò l'importazione di opere del luminoso rococò veneziano, tra le quali spicca l'Ultmai Cena di Jacopo Marieschi a Storo. La congiuntura artistica tra XVII e XVIII secolo è rappresentata per Trento dall' Ultima Cena di Tione, realizzata da Carlo Gaudenzio Mignocchi, pittore prospettico e di storia, formatosi a Roma, nella bottega di Andrea Pozzo, del quale era nipote. In Valle di Fiemme emerge, invece, la figura di Giuseppe Alberti, nativo di Tesero, il pittore locale di maggior talento degli ultimi decenni del Seicento, al quale spetta il merito di aver posto le basi della cosiddetta 'Scuola pittorica di Fiemme'. Artista dalla formazione assai articolata, svolta tra Venezia, Padova e Roma, fu autore di una vasta produzione di dipinti e affreschi; nella fase più tarda della sua attività, egli si avvalse

 

Antonio Baschenis - (attribuito) - Ultima Cena - 1461o - affresco - Carisolo - Chiesa di Santo Stefano Protomartire

largamente della collaborazione degli allievi, alcuni dei quali sarebbero in seguito divenuti protagonisti della stagione settecentesca, non solo in loco, ma anche in Tirolo e in Austria. Ciò favorì una certa continuità nella produzione pittorica delle valli di Fiemme e Fassa, favorendo lo sviluppo di una tradizione pittorica dai tratti abbastanza coerenti, che spazia dal periodo barocco a Quello neoclassico. La fase estrema di. questa stagione è rappresentata dalle. Comunioni degli apostoli di Antonio Longo e Antonio Vanzo. Il primo, pittore e sacerdote, soggiornò per lungo tempo a Roma, dove ebbe modo di aggiornare il suo linguaggio entrando in contatto con gli artisti più famosi del momento, tra gli altri Pompeo Batoni e il conterraneo Cristoforo Unterperger, del quale divenne allievo e sodale; il secondo ripeté stancamente modelli mutuati dai suoi predecessori, pur dimostrando discrete doti di colorista. Altre opere settecentesche documentano, infine, lo sviluppo della pittura nella Vallqgarina dove, accanto a presenze utoctone, quali quella di Gasparantonio Baroni, e documentata l'opera di artisti forestieri più all'avanguardia provenienti dall'area scaligera, aggiornati sulle novità del classicismo veronese: si tratta di Girolamo Costatini, pittore particolarmente apprezzato per le Sue doti di ritrattista nel circolo degli eruditi dell'Accademia degli Agiati di Rovereto, cui dobbiamo I’Istituzione dell'Eucarestia nella chiesa di Isera, e di Luigi Amistani, autore della Comunione degli apostoli oggi a Pilcante.

 

 

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